domenica 30 ottobre 2011

La bella statuina: Spielrein secondo Cronenberg

di Francesca Molfino (fonte : Il Paese delle Donne)
18/10/2011

Una carrozza che va verso l’ospedale psichiatrico di Zurigo in cui Sabina Spielrein si contorce e urla per l’ agitazione isterica; un'altra carrozza che si allontana dalla casa di Jung con una Sabina che piange compostamente, ormai sposata con un altro e madre di una figlia. Così si apre e si chiude “A dangerous method”, il film di David Cronenberg che riporta nelle sale la storia di Sabina Spielrein. Da quando negli anni Settanta fu scoperto il Diario di Sabina Spielrein, che racconta la sua storia d’amore con Gustav Jung durante le prime applicazioni del metodo psicoanalitico negli ospedali psichiatrici, alla sua vicenda sono stati dedicati libri, saggi, un dramma teatrale e tre film. Prima Ich hiess Sabina Spielrein (Mi chiamavo Sabina Spielrein) della regista svedese Elisabeth Marton, uscito nel 2002, con un’ impostazione di fedele ricostruzione storica; poi Prendimi l’anima del regista Roberto Faenza, uscito nel 2003, centrato esclusivamente sulla passione amorosa tra Jung e la paziente Spielrein; e oggi il film di Cronenberg, nel quale sono presenti i tre protagonisti della storia: Freud, Jung, Spielrein.

Quale il motivo di tanto interesse? Sicuramente i due personaggi maschili: Freud e Jung, padre e figlio della psicoanalisi che nasce proprio in quegli anni; e poi Sabina, la "piccola" ebrea russa, diventata per le donne un prototipo della paziente sedotta e dimenticata, ma anche di una donna coraggiosa, anticonformista, eccentrica che combatte, ma non vince, i padri fondatori. Ma penso che sia soprattutto il tema di fondo ciò che continua ad attrarre: la discrepanza tra ciò che si desidera e la sua realizzazione; tra parlare, riflettere da una parte e vivere, agire le proprie pulsioni dall’altra. In questa storia certamente si ripropone una predominante realtà dei nostri giorni: quella di scaricare ogni desiderio, piuttosto che fermarsi rispetto alla soddisfazione e considerare le conseguenze dei propri atti. In questo la psicoanalisi è una metafora della vita. Freud vuole dare alla relazione psicoanalitica le caratteristiche di un metodo scientifico: l'analista metterà in ombra i suoi desideri, si asterrà dal realizzarli, privilegiando la sua funzione di schermo bianco su cui si proietta la vita del paziente. Jung, invece, pensa che solo vivendo - qualche volta anche “indegnamente”- i propri sentimenti, si può aiutare il paziente. Nel caso di Sabina Spielrein infatti contraccambia l’amore della donna, ma poi se ne ritira. Lo scandalo della relazione tra paziente e medico scoppia: sembra che la moglie di Jung abbia scritto una lettera anonima alla madre di Spielrein; Jung preoccupato delle voci scrive al suo maestro-padre Freud che la relazione di amicizia, concessa per rafforzare la terapia del suo “caso clinico da manuale”, ha messo in “moto una rotella imprevista” per cui la paziente voleva sedurlo e ora respinta “sta maturando la vendetta.” Freud molto benevolmente rassicura il suo "principe ereditario": incidenti del genere con le pazienti ingrate, sebbene dolorosi, sono necessari e difficilmente ci si può sottrarre ad essi. E aggiunge: “La capacità di queste donne di metter in moto come stimoli tutte le astuzie psichiche immaginabili, finché non abbiano raggiunto il loro scopo, costituisce uno dei più grandiosi spettacoli della natura”.

Ma Sabina non si ferma. Dopo essere uscita dall’ospedale psichiatrico si è laureata in medicina e psichiatria, ha poco più di vent’anni e racconta a Freud la sua versione dei fatti. Non solo ottiene che Jung scriva onestamente a Freud quanto è successo, ma rimprovera anche Freud di non averle accordato “un colloquio senza la minima riserva”, pur di “evitare un momento sgradevole”. “Neppure il grande 'Freud' , dice Sabina, riesce sempre a rendersi conto delle sue debolezze “. Freud accetta con benevolenza la confessione, il pentimento, le autoaccuse di Jung sulla bassezza del suo comportamento dettata dalla paura, anzi aggiunge che avrebbe tollerato anche "misfatti maggiori", da parte sua. Finché Jung è il profeta che dovrebbe diffondere le sue teorie fuori da Vienna e dagli ambienti ebraici, è scusabile. Poi, dopo la rottura con lui, lo attaccherà in ogni occasione, cercando di far condividere le sue critiche anche da Sabina Spielrein, che nel frattempo è diventata sua allieva. Sabina partecipa alle riunioni degli psicoanalisti di Vienna e presenta le sue dissertazioni, che dopo dieci anni saranno il punto di partenza per le teorie di Freud sull’ ”istinto di morte”.

In un’ intervista, Cronenberg ha detto che la motivazione profonda per fare A Dangerous Method era stata quella di far ‘risorgere’ Freud, parlare con lui, con la sua voce, attraverso una vicenda drammatica. Tutti i critici sono rimasti stupiti per l’inusuale realismo di Cronenberg. Che vorrebbe riportare in vita quei grandi personaggi con una ricostruzione a dir poco minuziosa: l’attenzione all’ambiente (i luoghi, la poltrona di Freud), alle parole (con le trascrizioni fedeli delle lettere tra i protagonisti), alla caratterizzazione visiva dei personaggi (Jung sempre con la pipa, Freud sempre con il sigaro). Secondo me invece questa meticolosità, una sorta di iperrealismo storico, algido, produce l’effetto di una realtà fuori del tempo, come quando ci troviamo in mezzo alle statue dei musei della cera. Se Freud e Jung sono i “ritratti” di se stessi, anche le figure femminili sono di maniera: la moglie di Jung ha un aspetto sempre dolce, luminoso, materno ma distante, e Sabina Spielrein è ribelle ma soggiogata, ha un corpo anoressico, coperto da leggiadre camicette bianche ricamate. Le scene di sesso ritenute scabrose per le sculacciate di Jung, non sono molto erotiche, ma rappresentano le interpretazioni del regista della storia clinica di Sabina.
Il tema centrale - la sfrenatezza del desiderio e la necessità dei limiti - è rappresentato dalle figure di Freud, Jung e Spielrein che vengono fuori dal film come dei concettosi riassunti, leggibili su Wikipedia. Tanto più sono state ricostruite scene, ambienti e parole, tanto più i protagonisti rimangono sconosciuti e estranianti. Anche la breve apparizione di Otto Gross, un medico, paziente anch’esso di Jung, che predica la poligamia e la soddisfazione di ogni pulsione, serve solo a illustrare la tesi che si può essere liberi di soddisfare ogni desiderio. Forse questa è la misura del linguaggio di Cronenberg, far perdere l’illusione agli spettatori che i personaggi cinematografici siano dei modelli reali, fatti di carne e ossa, mentre sono solo espressioni o visualizzazioni di teorie.Il destino delle persone emerge, più che nelle immagini, nelle didascalie dopo la fine del film .

Nessun commento:

Posta un commento